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[00:00:00] Speaker A: Gli studi di genere hanno pervaso ogni ambito del sapere. Molte persone, istituzioni e perfino interi stati continuano a screditarli o addirittura a proibirli. Ma questo li fermerà? Assolutamente no. Io sono Matteo Botto e questo è About Gender, studi d'altro genere.
Oggi siamo qui con Valeria Quaglia, ricercatrice in sociologia generale presso l'Università di Bologna e esperta in sociologia della salute, invecchiamento e prospettive di genere sulla salute. Ciao Valeria, è un piacere averti qui con noi oggi.
[00:00:33] Speaker B: Ciao Matteo, grazie per l'invito.
[00:00:35] Speaker A: Valeria, che cosa c'entra il genere con la salute?
[00:00:38] Speaker B: Il genere c'entra con la salute assolutamente, infatti viene ormai da tempo ampiamente riconosciuto come uno dei principali determinanti sociali di salute, ovvero come uno dei molti fattori che contribuiscono a modulare il benessere degli individui e anche e soprattutto a generare e riprodurre le disuguaglianze di salute. Dai dati epidemiologici noi sappiamo che uomini e donne presentano differenze significative, sia rispetto ai profili di salute, sia nei livelli di esposizione a quelli che possono essere i diversi fattori di rischio. Innanzitutto, un primo indicatore importante a questo riguardo è l'aspettativa di vita. Infatti, pressoché ovunque nel mondo, le donne tendenzialmente vivono di più rispetto agli uomini. In Italia i dati Istat ci dicono che nel 2024 la speranza di vita alla nascita era di circa 81 anni per gli uomini e di circa 85 anni per le donne. Quindi attualmente esiste un divario di più o meno 4 anni tra uomini e donne, che direi è una differenza piuttosto significativa. Poi questo non vale la pena di ricordarlo, non si tratta di un dato solo italiano, ma in realtà è una tendenza che possiamo osservare anche in altri paesi, anche a livello internazionale. Le differenze, le disparità di salute tra uomini e donne si ritrovano non solo nell'aspettativa di vita, ma anche nei modi in cui gli individui fanno esperienza di tipi specifici di malattia, dalle malattie cardiovascolari, alle tumori, alle malattie autoimmuni, così come anche in altre condizioni croniche. Condizioni in cui spesso, ancora oggi, si sottovalda, si trascura l'importanza della dimensione del genere. Ci sono poi differenze che riguardano ovviamente l'incidenza, che riguardano la prevalenza di questo tipo di patologie a seconda dei corpi sessuati, ma anche, per esempio, differenze nel tipo di sintomatologia, quindi come si manifestano queste patologie, quali sono i segnali del corpo e come questi segnali vengono percepiti, come vengono espressi, come vengono interpretati. in base al genere. E questo sia da chi li vive in prima persona, ma anche dal punto di vista di chi li osserva, dal punto di vista di chi in qualche modo li deve decifrare, per così dire, nel contesto clinico. Ma le differenze riguardano anche, per esempio, il riconoscimento della malattia stessa da parte dei medici o comunque più in generale da parte dei professionisti della salute. Un caso emblematico a questo riguardo può essere sicuramente quello delle malattie cardiovascolari. È un esempio particolarmente interessante perché innanzitutto questo tipo di malattie tendenzialmente viene considerato come un problema maschile, come una questione maschile. Mentre invece non solo ora è così, ma addirittura rappresenta la prima causa di morte tra le donne. Cioè nonostante per molto tempo il genere femminile è stato sottorepresentato negli studi clinici che erano appunto rivolti a, dedicati a studiare quali fossero i fattori di rischio, quali fossero i sintomi, quali fossero i percorsi di cura per questo tipo di patologie. Come possiamo immaginare, l'esito di questa sottorappresentazione ha avuto conseguenze importanti e a volte anche purtroppo tragiche. Uno dei motivi per cui le malattie cardiovascolari rappresentano ancora oggi, come dicevo, la prima causa di morte tra le donne è proprio perché sia le donne stesse sia i medici molto spesso non sono in grado di riconoscere, per esempio, i sintomi dell'infarto e li riconosce propriamente per tempo. Questo perché? Perché può capitare che l'infarto nelle donne si manifesti diversamente rispetto agli uomini. Se tutti noi sappiamo che dobbiamo allarmarci, dobbiamo correre al pronto soccorso, chiamare l'ambulanza nel momento in cui avvertiamo, oppure se qualcuno vicino a noi avverte sintomi come un forte dolore al petto, un forte dolore al braccio sinistro, non tutti sanno che nel caso delle donne l'infarto invece si può manifestare diversamente, per esempio con sintomi come la nausea, come la disnea, quindi anche con problemi respiratori, con la cosiddetta fame d'aria. Questi sintomi purtroppo sono scambiati per qualcos'altro, sono spesso sottovalutati e per questo motivo le donne e le persone assegnate femmine alla nascita possono essere soccorsi in ritardo e anche talvolta dimessi senza una cura adeguata nonostante l'urgenza della situazione.
[00:05:17] Speaker A: Grazie mille Valeria per la tua risposta. Dato quello che ci hai detto, possiamo quindi dire che esiste una medicina di genere?
[00:05:23] Speaker B: Di Matteo Redatto. Esiste una medicina di genere, esiste un approccio, una prospettiva di genere allo studio della salute della malattia, che appunto si pone esplicitamente come obiettivo quello di studiare, di analizzare come le differenze biologiche tra i corpi sessuati, ma anche come le differenze socio-culturali legate invece al genere, influenzano lo stato di salute e l'esperienza di malattia degli individui. Detto in estrema sintesi, questo filone di studi considera, come dicevo, da una parte l'importanza dei corpi sessuati e delle differenze biologiche, come abbiamo visto prima, per esempio, con le differenze nei sintomi del rifatto nel caso delle donne. Però, ovviamente, vale la stessa cosa, vale lo stesso discorso anche nel caso dei corpi mastili. Per esempio, un caso tra i tanti è l'ostoporosi. L'ostoporosi viene considerata tendenzialmente una malattia femminile e per questo motivo viene spesso sottodiagnosticata o diagnosticata tardivamente negli uomini, nonostante anche loro chiaramente possano soffrirne come le donne e soprattutto durante la terza età, durante la vecchiaria. E probabilmente non a caso aggiungerei una delle conseguenze di questa sottovalutazione che in età anziana i uomini con una frattura al femore presentano un rischio di mortalità più elevato rispetto alle donne. Però nonostante questo oggi i programmi di prevenzione delle osteoporosi sono prevalentemente pensati e dedicati alle donne così come anche di strumenti diagnostici che vengono maggiormente usati, come per esempio la densitometria ossa, che usano parametri che sono calibrati tendenzialmente su valori tipicamente femminili. Poi l'approccio della medicina di genere si focalizza non solo sulla dimensione biologica come abbiamo visto, la dimensione che ora c'è per i corpi sessuati, ma anche sull'impatto che possono avere sulla salute e le aspettative, le norme culturali di genere. Si tratta chiaramente di un fenomeno complesso, di un fenomeno molto articolato, però con l'intentativo di restituirne almeno una parte possiamo pensare a due diversi livelli, un livello più ampio, un livello più macro, che richiama l'attenzione, per esempio, sul modo in cui la società organizza la divisione tra sfera pubblica e sfera privata sulla base del genere, pensiamo per esempio al modo in cui si struttura il lavoro retribuito e il lavoro non retribuito. Come sappiamo in Italia le donne continuano a essere svantaggiate nel mercato del lavoro rispetto agli uomini, hanno tassi di occupazione più bassi, hanno tassi di disoccupazione più elevati, oltre al fatto che lo sappiamo guadagnano mediamente di meno rispetto agli uomini e fanno più fatica ad accedere a posizioni di leadership. Tutte queste differenze chiaramente si traducono nel corso del tempo in disuguaglianze. Si traducono in disuguaglianze perché portano a una maggiore incidenza di povertà, portano a avere a disposizione meno risorse in caso di necessità. e quindi portano a maggiori rischi per la propria salute. Poi abbiamo un livello, per così dire, più micro, a livello degli stili di vita, a livello delle pratiche. Sappiamo che gli uomini e le donne fin dall'infanzia vengono socializzati a vivere in modo diverso il proprio corpo, le proprie emozioni, le relazioni con gli altri. Il fatto, per esempio, di insegnare bambini maschi che devono mostrarsi forti, devono mostrarsi resistenti al dolore, che non devono piangere perché altrimenti sono considerati delle femminucce, il fatto di insegnare che devono essere indipendenti, non chiedere aiuto, eccetera eccetera, ecco questo contribuisce a interiorizzare una forma di maschilità che di fatto li allontana poi dalla capacità di riconoscere i loro bisogni, li allontana dalle pratiche di salute, alle pratiche di cura di sé. e li può portare poi da adulti, per esempio, a ignorare sintomi anche importanti, a ritardare la richiesta di aiuto medico e quindi di fatto anche a ritardare la diagnosi e l'accesso alle oppure più appropriate. Poi noi ora abbiamo considerato lo stesso genere come dimensioni distinte, poi in realtà sono inesplicabilmente intrecciate tra loro, lo sappiamo, e si intersecano a loro volta con altre dimensioni di stratificazione sociale come l'etnia, la classe sociale, la disabilità, l'orientamento sessuale, l'età e molte altre.
[00:09:41] Speaker A: Grazie mille anche per questa tua risposta. A questo punto mi verrebbe da chiederti, com'è che siamo arrivati a questa situazione? Perché la medicina si è sempre più occupata del corpo maschile e non di quello femminile?
[00:09:52] Speaker B: Allora, per rispondere alla tua domanda dobbiamo fare forse un passo indietro e considerare che nonostante il sapere medico si sia a lungo presentato come un sapere oggettivo, come un sapere neutro, in realtà di fatto si tratta di un tipo di sapere che è stato costruito e si è sviluppato all'interno di precisi contesti storici e specifici contesti culturali Inevitabilmente in qualche modo si riflettono nelle rappresentazioni del corpo, nelle rappresentazioni della malattia, nelle pratiche di cura che sono state poi elaborate. Per molto tempo e in parte ancora oggi, nonostante i progressi che indubbiamente ci sono stati, in molti ambiti della pratica clinica e della ricerca biomedica il corpo maschile, bianco, cisgender, heterosessuale è stato assunto come norma implicita. Questo tipo specifico di corpo è stato concepito come standard universale, come modello a partire dal quale venivano formulate di analisi, venivano stabiliti i protocolli, prescritte terapie e così via. Chiaramente tutti i corpi e tutte le esperienze che non corrispondevano a quel modello venivano esclusi dall'attenzione medica, esclusi dai protocolli. E non di rado, nella pratica clinica venivano somminuiti, marginalizzati e molto spesso invisibilizzati. Negli anni 60 e 70, con il femminismo della seconda ondata, si comincia a denunciare il carattere patriarcale e paternalista dell'istituzione medica. Si denuncia l'assoluzione del corpo maschile come un modello universale, E a partire da queste istanze, nel tempo, anche all'interno del mondo medico e più in generale del mondo scientifico, cominciano a emergere delle voci critiche. Una delle prime pubblicazioni a trattare di questo tema è stata nel 1991, quando una cardiologa, Bernadine Healy, che è stata anche la prima direttrice donna dell'Istituto di cardiologia del National Institutes of Health degli Stati Uniti, ha pubblicato un'editoriale. Un editoriale che poi in seguito ha avuto una grande risonanza su una rivista prestigiosa che è il New England Journal of Medicine. In questo suo editoriale, Keeley, partendo dalla sua esperienza clinica, denunciava l'esistenza e la persistenza di discriminazioni costanti e sistematiche nei confronti delle donne che avevano una patologia cardiovascolare. Per esempio, una cosa che avevo osservato è che, a parità di sintomi, le donne venivano ospedalizzate di meno rispetto agli uomini, venivano prese meno sul serio. E nonostante si presentassero anche con quadriclinici complessi, rispetto agli uomini, ricevono meno frequentemente interventi che erano potenzialmente salvavita, come per esempio la trombolisi o l'intervento di bypass coronarico. Sempre negli stessi anni, negli anni 90, c'è stata poi un'altra pubblicazione importante che ha contribuito a comprendere meglio quali fossero le razze culturali di queste differenze, diseguaglianze. Mi riferisco al libro Making Sex, Body and Gender from the Greeks to Freud, di Thomas Laqueur, storico della medicina sesquenocamericana, che in questo suo studio molto famoso ha analizzato tutta una serie di testi antichi di medicina e di trattati filosofici e ha osservato come in buona parte della storia occidentale si è sempre pervasta la concezione di quello che definisce come one sex model, ovvero un modello monosessuale. Cosa significa? Significa che storicamente il corpo femminile non veniva considerato con le sue caratteristiche, con le sue specificità, ma piuttosto veniva concepito come una versione rovesciata, una versione incompleta del corpo maschile. Questo è qualcosa che ritroviamo già in Aristotele con l'idea della donna come una sorta di maschio mutilato o maschio imperfetto. E questo tipo di rappresentazione di fatto è stato tramandato da Galeno fino all'età moderna ed era inevitabilmente intracciato con il ruolo subordinato che la società assegnava alle donne. E in qualche modo il sapere medico ha contribuito a legittimarlo, a legittimare questa prospettiva, conferendole un'aura di naturalità. Sebbene oggi i tempi siano cambiati, o comunque stiano lentamente cambiando, possiamo trovare ancora qualche traccia di questo intronto nel modo in cui, per esempio, vengono considerate e molto spesso trascurate alcune condizioni cliniche che colpiscono prevalentemente le donne e le persone assegnate femmine alla nascita. Pensiamo per esempio all'endometriosi, all'evolvedinia, alla fibromialgia, alla sindrome dello bio-colicistico. Tutte condizioni che, nonostante siano ampiamente diffuse e potenzialmente invalidanti, continuano di fatto ad essere oggetto di ritardo diagnostico, di percorsi terapeutici incerti e anche di una mancanza di informazione del personale medico a questo riguardo. Concludendo, l'unico modo che abbiamo per superare, per provare a superare queste disuguaglianze strutturali è adottare uno sguardo critico, una prospettiva che metta in discussione l'idea di una medicina neutra universale e che riconosca il valore delle differenze, una prospettiva che favorisca un approccio inclusivo, un approccio che sia capace di rispondere in modo davvero eco ai bisogni di corpi e soggettività che sono appunto plurali.
[00:15:10] Speaker A: Grazie mille davvero Valeria per tutto quello che ci hai detto e soprattutto grazie mille per il tuo tempo.
[00:15:15] Speaker B: Grazie a te.
[00:15:16] Speaker A: E ovviamente grazie mille a tutte le persone che ci hanno ascoltato. Al prossimo episodio. Ciao.