Come vivono la violenza di genere le donne con disabilità?

July 15, 2025 00:15:49
Come vivono la violenza di genere le donne con disabilità?
About Gender. Studi d'altro genere
Come vivono la violenza di genere le donne con disabilità?

Jul 15 2025 | 00:15:49

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Show Notes

In questo episodio, Maria Giulia Bernardini, ricercatrice presso l’Università di Ferrara, ci invita a riflettere su un tema spesso trascurato nel dibattito pubblico: l’intersezione tra disabilità e violenza di genere. 

  Attraverso uno sguardo attento e intersezionale, analizziamo le specifiche forme di violenza – fisica, psicologica, istituzionale – che colpiscono le donne con disabilità, spesso invisibilizzate. Ci chiediamo perché se ne parli così poco, quali sono gli ostacoli culturali e materiali che impediscono un pieno riconoscimento del problema, e quali strategie possiamo mettere in campo per costruire politiche e pratiche davvero inclusive. 

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Episode Transcript

[00:00:00] Speaker A: Gli studi di genere hanno pervaso ogni ambito del sapere. Molte persone, istituzioni e perfino interi stati continuano a screditarli o addirittura a proibirli. Ma questo li fermerà? Assolutamente no. Io sono Matteo Botto e questo è About Gender, studi d'altro genere. Oggi siamo qui con Maria Giulia Bernardini, ricercatrice in filosofia del diritto presso l'Università di Ferrara. Ciao Maria Giulia, è un piacere averti qui con noi oggi. [00:00:30] Speaker B: Ciao, grazie mille per l'invito, sono molto contenta anch'io. [00:00:33] Speaker A: Abbiamo già parlato di violenza di genere in uno dei primi episodi di questo podcast, però Maria Giulia, con te vorremmo affrontare questo argomento da un posizionamento diverso e quindi la mia domanda è questa. Che cosa possiamo dire sulla violenza di genere quando a subirla sono donne con disabilità? [00:00:49] Speaker B: La violenza di genere è un fenomeno chiaramente allarmante, ma il problema è che quando le donne con disabilità ne sono vittime sono tra le persone più vulnerabili. In particolar modo la violenza di genere, ma anche la violenza domestica e lo sfruttamento sessuale, quindi vado un po' per specificazione. E nonostante questo, la violenza nei loro confronti è un fenomeno per lo più sommerso. Si è iniziato a parlare di violenza nei confronti delle donne con disabilità solo in anni recentissimi, con il risultato che spesso appunto non si conoscono le specificità e tu appunto mi chiedevi che cosa la caratterizza. Forse possiamo individuare quattro elementi mi viene da dire, i soggetti, i luoghi, i tipi e i modi stessi con i quali la violenza subita purtroppo viene comunicata. Perché? Perché innanzitutto se ci interroghiamo su chi commette violenza nei confronti delle donne con disabilità, noi abbiamo sicuramente la violenza del partner. La violenza forse classica, diciamo, ma il fenomeno più allarmante è dato in primo luogo dalla violenza che viene commessa anche dal, o anche dalla, caregiver, formale o informale, e anche dai professionisti della sfera sociosanitaria. Ci sono alcuni casi, ad esempio, che coinvolgevano dei fisioterapisti che effettuavano pratiche che erano in realtà inquadrabili come casi di violenza, ma le propagandavano e le presentavano alla donna con disabilità come pratiche fisioterapiche. E qui c'è tutto poi il problema della consapevolezza anche delle donne con disabilità che non sono educate a riconoscere i casi di violenza. E questi sono tutti i casi in cui c'è una forte assimmetria di potere che vede la donna con disabilità dipendere dal caregiver per il soddisfacimento di bisogni primari e quindi la rende ancora più dipendente. E questo chiaramente complica anche tutto il problema della fuoriuscita poi dalla violenza. Luoghi particolari ancora, perché abbiamo sicuramente la dimensione domestica, la sfera domestica, quindi luoghi tradizionali, ma, e questo è il caso più spinoso, le strutture socioassistenziali, RSD e RSA, perché anche le donne anziane non autosufficienti, sono vittime di violenza, grandissimo rimosso, questo anche in letteratura, non si trovano praticamente studi e riflessioni sul tema. E poi ci sono le specificità legate ai tipi di violenza e ai modi con i quali la violenza viene esercitata. Se siamo in presenza di uno o più disabilità abbiamo sicuramente le forme classiche della violenza, fisica, sessuale, economica e psicologica, che però assumono delle caratteristiche specifiche. Penso ad esempio a un modo un po' subdolo, forse, con il quale si realizza la violenza psicologica e che molto spesso è effettuato con la stessa mancanza di consapevolezza di chi agisce questa forma di violenza, cioè la negazione dell'adultità, il considerare le donne con disabilità come delle eterne bambine. Perché Questa forma di violenza psicologica nega in realtà il diritto di autodeterminazione di queste donne e legittima la possibilità di decidere per il loro bene. È un potente veicolo di paternalismo a 360 gradi, cosa che appunto in realtà contrasta tra l'altro anche con la convenzione onnus sui diritti delle persone con disabilità, dove non a caso si riafferma con nettezza il diritto delle donne e delle ragazze con disabilità all'autodeterminazione in ogni campo, ma che appunto viene compiuto molto spesso anche nell'ambito familiare. Questo significa chiaramente non condannare le famiglie, è perfettamente comprensibile e si capisce che qui veramente abbiamo a che fare con il bene di queste donne e di queste ragazze. Ma proprio la paura, probabilmente dettata anche dal fatto di vivere all'interno di contesti che in realtà non conoscono il fenomeno della disabilità e non sono pronti ad includere la disabilità stessa. Quindi sono contesti ostili che creano barriere e la voglia di proteggere il bisogno, di proteggere le proprie figlie, le proprie familiari appunto, in realtà comporta un effetto di discriminazione e di violazione dei loro diritti a cui molto spesso non siamo abituati a pensare. Un altro aspetto che mi sembra interessante perché anche qua sfata alcuni dei luoghi comuni o comunque delle credenze più diffuse, l'uccisione di un animale come può essere ad esempio quello di un cane guida, chiaramente un fattore che impatta sulla vita di tutte e tutti noi e nell'ambito della violenza domestica spesso questa azione è vista come una forma di intimidazione. Nel caso delle donne con disabilità, però, abbiamo anche delle conseguenze ulteriori. Pensiamo a una donna con disabilità sensoriali, in questo caso viene limitata la sua libertà di movimento e quindi questo ne comporta l'isolamento, con tutto quello che poi ne consegue in termini di violazione di diritti. Un isolamento che può essere prodotto anche da altre pratiche, la rimozione o la distruzione degli ausili per la comunicazione, come ad esempio gli apparecchi acustici, o l'allontanamento da una sedia a rotelle o da altri ausili per la mobilità. Quindi tutte pratiche che se noi le prendiamo in astrato senza avere in mente il soggetto donna del quale ci stiamo occupando, che in questo caso è una donna con disabilità, possono forse lasciarci indifferenti ma che hanno ripercussioni veramente molto ampie sulla vita appunto di queste donne. E poi ci sono anche delle forme di violenza specifiche, o meglio, che colpiscono le donne con disabilità molto più frequentemente. Parlo della sterilizzazione e della contraccezione non consensuali. Sono tra le forme di violenza che oggi suscitano maggiore preoccupazione, ma sono anche molto praticate all'interno di molti stati, anche europei. In Spagna è stato introdotto un reato apposito solamente di recente, così come a Malta, a Malta nel 2024, nell'estate. In Olanda, e quindi siamo sempre all'interno dell'Unione Europea, perché molto spesso si pensa a pratiche effettuate chissà dove, possono anche essere previste queste sterilizzazioni o la contraccezione non consensuali come condizioni per accedere alle strutture socio-residenziali. E poi tutto torna perché? Perché questi luoghi sono quei luoghi che, dicevo prima, più favoriscono la perpetrazione delle violenze. Quindi agiamo sulla vittima per prevenire che gli abusi portino poi a conseguenze indesiderate, e anche qui indesiderate da chi? Dalla vittima, ma forse anche dalla società che non sa come gestirla. E poi, ultimo grande tipo di violenza, per così dire, la violenza istituzionale a cui è connessa poi la vittimizzazione secondaria. perché se le donne con disabilità si presentano per denunciare violenza, si trovano davanti al noto problema dell'ingiustizia epistemica, che però nel caso delle donne con disabilità diventa ancora più allarmante. Ad esempio, se abbiamo donne con disabilità intellettive, psicosociali o sordocieche, che affermano di essere state vittime di violenza, spesso non abbiamo un racconto che viene espresso in modo lineare, anche se anche qua saperebbe il grande tema, le donne senza disabilità raccontano sempre in modo così lineare e questo significa che non hanno subito violenza, ma comunque facciamo finta che ci sia un modo lineare standard di raccontare, sicuramente però il loro seguire percorsi altri di esposizione di quello che hanno subito porta a far sì che non sono credute. Molto spesso anche perché manca personale adeguatamente formato e perché appunto la valutazione delle narrazioni è effettuata facendo riferimento alla logica, alla coerenza, alla congruenza di una narrazione che sostanzialmente è quella fatta da una persona senza disabilità. Spesso poi Se una donna con disabilità, ad esempio disabilità psicosociale e intellettiva, necessita di comunicazione assistita, il giudice tende a screditare la testimonianza, non valutarla come se fosse una testimonianza resa da una donna senza disabilità. Oppure si richiedono ulteriori prove a supporto della narrazione effettuata, prove che come sappiamo tra l'altro spesso sono difficili da ottenere. Se poi una donna ha subito dei trattamenti psichiatrici nel corso della sua vita, la sua testimonianza ancora una volta è una testimonianza che non vale, non ha un peso come quello delle altre. E chiudo con questo aspetto, accesso alla giustizia diciamo dal lato della denuncia e nel corso del processo, ma anche problema della fuoriuscita dalla violenza. Oggi molti centri antiviolenza per ragioni varie e complesse e non si tratta, lo vorrei precisare bene, di condannare i centri antiviolenza che anzi svolgono un ruolo importantissimo e tutti i giorni quotidianamente hanno milioni di difficoltà in primo luogo finanziarie non dovute a loro ma sono ancora inaccessibili e questo non lo dico io ma lo dice un'indagine Istat molto recente e tra l'altro ci sono alcuni statuti di questi centri antiviolenza dove chiaramente per ragioni di difficoltà quindi anche qui un problema di sistema Ma si stabilisce, si mette nero su bianco, che non si accolgono, tra le altre, donne con disabilità, perché le strutture non sono accessibili. Qui però manca la consapevolezza in questo senso, che siamo davanti a una discriminazione. Ma è chiaro che se una donna già non conosce i suoi diritti e sa che comunque non potrà veramente uscire dalla violenza anche nel caso in cui trovi la forza di denunciare, ecco allora che è difficile per le donne con disabilità forse ancora più che per le altre donne uscire da questa spirale della violenza. [00:09:55] Speaker A: Grazie mille Maria Giulia per la tua risposta. Ovviamente sappiamo che di violenza di genere non se ne parla mai abbastanza e quando se ne parla purtroppo spesso se ne parla anche male, ma nello specifico secondo te perché non stiamo parlando a sufficienza della violenza di genere subita dalle donne con disabilità? [00:10:11] Speaker B: Io credo che le ragioni siano tante e siano ragioni teoriche, culturali e anche politiche. Nel senso che se noi guardiamo alla storia della nascita c'è ad esempio tutta una riflessione molto di nicchie in realtà sulle donne con disabilità che si chiama Feminist Disability Studies, anzi non una riflessione sulle ma una riflessione delle donne con disabilità, cosa non secondaria. Ma se noi guardiamo allo sviluppo storico del femminismo e conseguentemente degli studi femministi, così come del Movimento per i diritti delle persone con disabilità e dei disability studies, le donne con disabilità non compaiono. E non compaiono per ragioni appunto sia culturali che politiche. Nel caso del femminismo, perché si riteneva che se l'obiettivo era francarsi dalla dipendenza e la disabilità era dipendenza, allora parlare di donne con disabilità avrebbe finito per costituire un autogol, sostanzialmente, perché avrebbe impedito alle donne di affrancarsi da quella dimensione domestica, la cura e appunto la dipendenza, quelle quali invece erano identificate. E tra le femministe e riformiste degli anni 30, mi viene in mente in America, era diffuso il consenso alla sterilizzazione delle donne con disabilità, ad esempio, quindi anche in stanze confliggenti. Nell'ambito degli studi critici sulla disabilità e del Disability Rights Movement, invece, la questione era se noi prendiamo in considerazione la specificità femminile, prendiamo in considerazione il corpo. Ma inizialmente il modello sociale della disabilità cerca di emanciparsi completamente dal corpo, perché il corpo della persona con disabilità è visto come meno mato. difettoso, una macchina che si è inceppata. E se questo è vero, gli studi devono concentrare esclusivamente sull'oppressione sociale, elidendo il corpo, quindi anche il corpo sessuato. E qui quindi un'assenza, un oblio che ha costituito un ostacolo davvero rilevante anche all'emergere delle violazioni dei diritti di queste donne e che ha comportato l'esclusione strutturale che tra l'altro si riverbera anche nella sfera giuridica e in quella istituzionale. Se noi guardiamo alle istituzioni internazionali dopo l'entrata in vigore della convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità che tra l'altro dà al genere un'importanza enorme, e il genere è cross-cutting, oltre ad articoli specifici, le istituzioni si sono occupate di donne con disabilità negli ultimi dieci anni, sostanzialmente, con una serie di atti, di appelli, mettendo però sempre in rilievo le stesse cose, cioè mancano dati, manca conoscenza, queste donne sono invisibili. E questo è dovuto, credo, al fatto che è mancato un approccio intersezionale che ha impedito di riconoscere che l'interazione tra genere e disabilità aumenta in modo esponenziale il rischio di essere esposti a violenza e alle discriminazioni. E questo è causa e alimenta la scarsità di dati, le lacune nei dati disponibili e il mancato riconoscimento del fatto che la violenza contro queste donne ha forme specifiche che devono essere conosciute per essere riconosciute. Credo quindi che, alla luce di tutto questo, richiamando Carla Lunzi, si possa dire che le donne con disabilità sono tra i soggetti imprevisti contemporanei. Però vorrei rubarti ancora un minuto per chiudere con una nota positiva. Perché se noi ci fermiamo a quello che ho appena detto, il quadro è sconfortante. Ma negli ultimi anni queste donne e queste ragazze, o meglio ancora prima, ma negli ultimi anni abbiamo iniziato a vederle, sono scese in campo in prima persona. Uno dei motti delle persone con disabilità è nulla su di noi senza di noi e è stato riformulato in chiave nulla sulle donne e le ragazze con disabilità senza le donne e le ragazze con disabilità. quindi una presa di parola che è politica. E proprio attraverso la politica queste donne e queste ragazze sono riuscite a rendere visibile la propria soggettività. Io in questo caso ho un punto di riferimento ben chiaro, sono i tre manifesti sui diritti delle donne e delle ragazze con disabilità, dal 2011 in poi, l'ultimo recentissimo, e in secondo in particolare, è una sorta di riscrittura della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Una riscrittura, o meglio, una specificazione di cosa significa, in un'ottica di genere, riconoscere quei diritti che già riconosce la Convenzione ONU. E in questo senso, quindi, le donne e le ragazze con disabilità hanno un po' fatto quello che ha fatto De Gauche con il proto-femminismo in relazione alla dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino. Accanto a questo, quindi protagonismo delle donne con disabilità, anche un'attenzione sempre più ampia a livello più diffuso, in quella che è la versione 2.0 dell'intersezionalità, che è diventata un'intersezionalità delle lotte. E quindi c'è un'attenzione crescente a seguito del fatto che si riconosce che effettivamente siamo davanti a gravi violazioni dei diritti umani di queste donne, di cui appunto finora colpevolmente la società non ha parlato. Ed è bello quindi vedere queste alleanze dei corpi, come direbbe Judith Butler, tra donne con e senza disabilità, che tra le prime battagliano appunto quella dell'accessibilità ai centri antiviolenza e del contrasto alla sterilizzazione non consensuale, che è uno dei grandi temi contemporanei, forse ancora oggi appunto di nicchia. Però insomma, alcune vie ci sono, bisogna continuare a percorrerle e soprattutto bisogna far sì che siano ancora più conosciute. Ci sono passi che mi fanno essere ottimista in questo senso. [00:15:32] Speaker A: Grazie mille davvero Maria Giulia per averci aiutato a capire meglio questo fenomeno e soprattutto grazie mille per il tuo tempo per aver deciso di essere qui con noi. [00:15:40] Speaker B: Grazie mille è stato un piacere. [00:15:42] Speaker A: E ovviamente grazie mille a tutte le persone che ci hanno ascoltato. Al prossimo episodio. Ciao.

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