Che cos’è il sex work?

June 18, 2025 00:13:06
Che cos’è il sex work?
About Gender. Studi d'altro genere
Che cos’è il sex work?

Jun 18 2025 | 00:13:06

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Show Notes

In questo episodio di About Gender. Studi d’altro genere, la Prof.ssa Giulia Selmi, sociologa dell’Università di Parma, ci accompagna in una riflessione sul tema del sex work, uno degli argomenti più dibattuti all’interno del femminismo e degli studi di genere. 

 Parliamo di che cosa si intende per sex work, delle esperienze e delle rivendicazioni delle persone che lo praticano, e dello stigma sociale e istituzionale che spesso le colpisce. 

Un episodio per superare i pregiudizi e approfondire, con rigore e ascolto, una realtà ancora troppo spesso semplificata o invisibilizzata.

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Episode Transcript

[00:00:00] Speaker A: Gli studi di genere hanno pervaso ogni ambito del sapere. Molte persone, istituzioni e perfino interi stati continuano a screditarli o addirittura a proibirli. Ma questo li fermerà? Assolutamente no. Io sono Matteo Botto e questo è About Gender, studi d'altro genere. Oggi siamo qui con Giulia Selmi, professoressa associata presso l'Università di Parma, attivista per i diritti delle persone che fanno sex work, nonché coordinatrice del progetto di ricerca Recaps. Ciao Giulia, è un piacere averti qui con noi oggi. [00:00:35] Speaker B: Ciao, il piacere è tutto mio. [00:00:37] Speaker A: Giulia, il tema che vorremmo affrontare con te oggi è il sex work, che sappiamo essere un tema molto complesso, molto ampio e soprattutto anche molto dibattuto. Quindi prima di iniziare però andare veramente nel dettaglio della questione, vorrei chiederti ci potresti dare una definizione di che cosa intendiamo con sex work? [00:00:56] Speaker B: Il termine sexor indica lo scambio di servizi sessuali in cambio di denaro o di altri vantaggi materiali, come prima definizione stringata. È però una parola con una storia recente, nel senso che negli ultimi anni il linguaggio per descrivere questi scambi è andato modificandosi, quindi la parola sex o la parola sex worker hanno iniziato ad affiancare dei termini più classici, come prostituzione o prostituta, o il termine puttana nelle sue declinazioni più offensive. È un termine che è stato cognato negli anni 70 insieme ai movimenti e delle organizzazioni di sex worker. In particolare è stato cognato da una sex worker femminista di nome Carol Lee, che dice in un saggio che ha scritto nel 1997, che si chiama Inventing Sex Work, una cosa molto bella. Dice che questo termine, il termine sex work, definisce la nascita di un movimento. e riconosce il lavoro che facciamo piuttosto che definirci per il nostro status. E dice ancora lì, mi ricordo come mi sentissi potente ad avere la parola sex work, ad avere una parola per descrivere questo lavoro che non fosse un eufenismo. Il sex work non ha vergogna e nemmeno io. Quindi diciamo è una parola che ha una storia di movimento e di organizzazione collettiva alle spalle e che quindi ha fatto come primo risultato quello di iniziare a decostruire quella dimensione di stigma e di marginalizzazione che ruota attorno agli scambi di sesso per denaro. Ed è anche una parola che ha permesso, o permette oggi, di poter guardare a questo mondo in tutte le sue complessità, in tutte le sue articolazioni, e non ridurlo agli stereotipi che invece abitano tipicamente il discorso pubblico. Quindi quando diciamo sex work, per esempio, diciamo tante tipologie di scambio di sesso per denaro. Diciamo la prostituzione di strada, che è quella più nota anche proprio nelle rappresentazioni mediatiche del discorso pubblico, anche del discorso di senso comune, ma a tutte le forme di scambio di sesso per denare che avvengono nei luoghi chiusi, come in appartamento, tutto il lavoro nei club, per chi lavora come stripper, come accompagnatrice. Parliamo anche di tutte quelle forme di sex work che avvengono negli ambienti digitali, per esempio attraverso le piattaforme, con gli OnlyFans. Quindi è una parola anche che ci permette di guardare a questi scambi nella loro pluralità. E pluralità vuol dire condizioni materiali, di tipologie, di esercizio molto diverse tra di loro. E' anche una parola, sex worker in questo caso, che ci permette di guardare al profilo delle persone che vivono di scambio di sesso per denaro, anche lì guardando alla molteplicità, nel senso che è indubbiamente vero che la maggior parte delle persone che vivono di scambi di sesso per denaro sono donne cis e trans però ci sono anche seppur in misura minore uomini queer e in misura ancora minore ma non totalmente assente uomini etero o comunque uomini che vendono sesso a donne o uomini che vendono sesso ad altri uomini e sicuramente chi fa sex work sono spesso persone giovani persone razionalizzate sono spesso persone in condizioni di classe subordinata e questo ci dice che il sex work sta inserito in un insieme di diseguaglianze, di genere, di classe, coloniali, razziali, che sono quelle le stesse che poi organizzano la nostra società. Ci dice anche però di un suggerimento, la parola sex work, di cercare di guardare a queste complessità senza reificarle, quindi senza fare del sex work, come dire, la pietra angolare del sessismo, del razzismo, del tassismo, ma di cercare di leggerla in continuità con altre dimensioni, quindi di collocarla dentro la società e non di farne l'altro da noi. [00:04:38] Speaker A: Grazie mille Giulia per le tue parole. A questo punto farei un passo avanti, andrei un po' più in profondità e ti chiederei da dov'è che nasce questo stigma che le persone che fanno sex work vivono? [00:04:50] Speaker B: Per risponderti farei riferimento alle ricerche, alle riflessioni che ha fatto l'antropologa femminista Paula Tabet, che ha collocato gli scambi di sesso per denaro dentro quelli che lei chiama scambi sesso-economici, dicendo un po' che tutte le società, sia quella industriale che no, esistono degli scambi sesso-economici, quindi degli scambi in cui la sessualità femminile viene messa in scambio per denaro o per altri vantaggi materiali, ma che non sono condannati come dei veri e propri serviti sessuali. Quindi, lei dice, il fatto che la sessualità possa in un qualche modo diventare un servizio, in un qualche modo venire monetizzata, non è una caratteristica del mercato del sesso. Perché, per esempio, questi scambi esistono all'interno del matrimonio, esistono più in generale, possono essere intracciati nelle relazioni di coppia, esistono nelle relazioni lavorative e così via. Quindi esiste una coesistenza tra sesso e vantaggi economici. però quello che più caratterizza invece il sex work è che questi scambi sono esplicitamente negoziati, non restano indefiniti, non vengono dati per scontati come dei benefit di genere come spesso accade in altri contesti, hanno una collocazione temporale precisa, stanno in una sfera specificamente collocata, diversamente da come accade tra i fidanzati o nei coniugi o nei colleghi di lavoro e quindi un po' questo aspetto esplicito e anche di potenziale negozialità che fa sì che si veda il sex work come un fatto eccezionale, scandaloso e per questo viene stigmatizzato e anche discriminato sia dal punto di vista sociale che anche dal punto di vista legale e il dispositivo che genera questa condanna sociale è quello che Gayle Peterson negli anni 90 ha chiamato lo stigma della puttana uno stigma, un meccanismo di disciplinamento che in un qualche modo separa le donne in donne per bene, tipicamente le mogli, le madri, in cui quegli scambi, quel continuum, quella dimensione sesso-economica rientra dentro dei dispositivi istituzionali che lo rendono lecito, e le donne per male, quelle che appunto invece hanno una dimensione negoziale, forse anche strategica, della dimensione della sessualità. E questo stigma, che è quello che in un qualche modo separa, è una grandissima, diciamo, invenzione del patriarcato, no? Questa distinzione tra le donne per bene e le donne per male. E tra l'altro è una distinzione che in un qualche modo colpisce tutte le donne, indipendentemente dal fatto che poi per mestiere o comunque per sopravvivenza lavorino, no? Scambino sesso per denaro, perché è una cosa che disciplina l'uso che le donne fanno della loro sessualità. E questo non è una dimensione soltanto simbolica, questo ci tengo molto a sottolinearlo, cioè non è soltanto diciamo una concezione, ma è una concezione che ha degli effetti nella realtà. Per esempio lo stigma della puttana è quello per esempio che rintracciamo nelle sentenze su gli episodi di violenza maschile contro le donne è quella che in qualche modo sostiene se l'è cercata e allo stesso tempo per invece chi lavora nel mercato del sesso è lo stigma quello che allontana e rende difficile l'accesso ai servizi sociali e sanitari, è quello che impedisce l'accesso alla giustizia, l'accesso alla propria sicurezza perché la paura di essere stigmatizzati, di fare parte di questo mondo è quello che ha poi impedisce delle dimensioni che invece sono quelle che garantiscono la cittadinanza e la possibilità appunto di godere dei propri diritti. [00:08:21] Speaker A: Grazie mille Giulia anche per questa tua risposta. A questo punto l'ultima domanda che mi viene in mente è questa. Sappiamo che il sex work non solo è molto dibattuto nella società in generale, nella nostra cultura, ma anche all'interno di movimenti femministi e tra le persone che si occupano di studi di genere. Come mai? Sapresti darci un po' una panoramica di questa situazione? [00:08:43] Speaker B: La questione del sex work è storicamente da sempre al centro di un dibattito femminista molto acceso. Che tipo di spiegazione e quindi anche poi che tipo di impegno femminista mettiamo nel pensare e quindi poi anche nell'agire. Torno al sex work, appunto è stato uno dei nodi cruciali a partire dagli anni 70 delle cosiddette sex wars negli Stati Uniti. Una posizione antisexual che affonda le sue radici nel femminismo radicale americano di Dworkin e McKinnon postula l'impossibilità di pensare che una donna consenta a uno scambio di sesso per denaro e quindi non ripara qualunque forma di scambio di sesso per denaro a una forma di stupro, di violenza. Quindi come nessuna donna consentirebbe uno stupro, nessuna donna può consentire fare sex work consensualmente e questo in un qualche modo fa sì che poi la concezione quindi del sex work sia sempre come una forma di violenza e che in un qualche modo l'impegno femminista sia un impegno ad abolire il sex work. e che ha trovato la sua forma diciamo in termini di policy in tempi più recenti diciamo dalla fine degli anni 90 nel cosiddetto modello nordico o più correttamente modello svedese di criminalizzazione del cliente per cui attività legate al sexo vengono criminalizzate dal punto di vista formale viene criminalizzato soltanto chi compra ma nei fatti poi viene anche criminalizzata l'esperienza di chi vende e non c'è spazio per pensare a delle forme di sex work che siano legittime e che siano scelte dalle persone, dalle donne in particolare. C'è invece un'altra posizione che è appunto la cosiddetta posizione pro sex work che è più che pro-sexwork, direi che è più pro-sexworker's rights, cioè quindi non è un essere un pro-sexworker to cure, ma mettere al centro i diritti e l'autodeterminazione delle persone che vivono di lavoro sessuale, che affonda le sue radici nei movimenti di sexworker e nei movimenti di sexworker che sono anche stati e sono anche i movimenti di feminista e sexworker. che mettono al centro una parola molto cara del femminismo, che è quella di autodeterminazione, e quindi riconoscono il fatto che il sex work si articoli dentro delle dimensioni diciamo globali di diseguaglianza, quelle che nominavo prima, di classe, di genere, di razzializzazione, ma che all'interno di questa dimensione di diseguaglianza questo non, diciamo, non sminuisca poi la possibilità delle persone che fanno sex work di avere una propria gentilità, una propria autodeterminazione e che quindi quel lavoro possa essere scelto. Non necessariamente raccontandolo come il migliore dei lavori del mondo, quindi non con quel seriotipo di quello che viene chiamato the happy hooker, quindi l'idea di una persona che fa sex work totalmente autodeterminata, totalmente contenta, che non rileva nessuna questione problematica, diciamo, nel lavoro che fa, ma che questo non toglie al fatto che questo si possa sceglierlo. Questa seconda posizione femminista, anche dal punto di vista delle poli, si è trovato, diciamo, sposa a una posizione di criminalizzazione del sex work e delle condotte attorno al sex work e una forte centratura sui diritti e sull'empowerment delle persone che fanno sex work e di grande lotta allo stigma. Anche qui non senza riconoscere che esistono delle complicità e delle diseguaglianze ma che proprio lavorando sull'empowerment, sui diritti e su degli spazi di agibilità per le persone che fanno sex work al di fuori delle dimensioni appunto oscure e grigie entro cui abitualmente deve muoversi che può lavorare sul miglioramento delle condizioni di vita, di lavoro e anche in un certo senso sulle condizioni di fuoriuscita da quel mondo, se è fuori che si vuole stare. Quindi, e con questo chiudo, in questa polarizzazione su cui si muove questo dibattito, che è sex worker per scelta, è sex worker per costruzione, i movimenti delle sex worker hanno cognato una terza termine, che è sex worker per circostanze, che credo sia uno sguardo interessante che come femminista dovremmo vorremmo seguire, che ci permette di collocare le persone dentro i vincoli, dentro i quali si possono muovere, però tenendo un forte riconoscimento della loro gentilità, della loro possibilità di operare scelte. [00:12:46] Speaker A: Grazie mille davvero Giulia per essere stata qui con noi oggi e per averci anche aiutata a capire meglio un fenomeno così ampio e complesso. Quindi grazie davvero non solo per le tue competenze ma soprattutto per il tuo tempo. [00:12:57] Speaker B: Grazie a voi. [00:12:59] Speaker A: E ovviamente grazie mille a tutte le persone che ci hanno ascoltato. Al prossimo episodio. Ciao!

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